In entrambi i casi si tratta di racconti fantasma: esistono? Ci crediamo?
Ebbene, e se uno di questi racconti parlasse addirittura di fantasmi?
Il treno fantasma
Il treno cigolava sui binari, qualche
scintilla di troppo fischiava sulle rotaie.
Il Vecchio se ne stava alla guida con la
schiena ricurva mentre la dentiera scollata si muoveva dondolando come il carro
merci: ciondolante rimaneva attaccato a tutto il resto anche se arrugginito,
mentre il Vecchio aumentava la velocità per passare le fermate inutili.
Sapeva esattamente, come ogni notte, dove
andare a prenderli.
C’era chi tornava, chi partiva e chi non
era mai arrivato.
Il buio di quella notte era abitato rispetto
a molti altri passati, perché alle fermate erano presenti molti più vivi di
quel che avrebbe mai pensato.
Fermato il treno con il classico stridio,
vide i morti superare la linea gialla passando poi attraverso le porte senza
aprirle.
Era stata gente educata un tempo, mica
come quei bulletti in fondo al binario che si lanciavano urlando passando dai
finestrini.
E attendendo che tutti salissero un
brusio di malcontento gli giungeva alle orecchie: che nessuno di loro dovesse
prendere il treno era chiaro, e nel sentire quel rumore così vicino e chiaro il
Vecchio quasi si commosse.
A svegliarlo fu la voce ovattata di uno
dei passeggeri.
Si ritrasse dal finestrino, perché alle
fermate si sporgeva sempre ad annusare l’aria, lo guardò con le cataratte negli
occhi, ma non era per quello che lo vedeva sfocato. Perché nel tempo aveva
capito quanto fossero chiare le sagome dei fantasmi: con loro non avrebbe mai
avuto problemi di vista.
Si tolse gli occhiali e si sfregò le
palpebre facendo cadere un paio di ciglia, davanti a lui un individuo dagli
abiti logori e dalla barba folta. In mano un avanzo di panino, e in bocca il
morso strappato che continuava ad essere masticato.
-Tabacco, sembra che tu stia mangiando
tabacco-
Sì perché non poteva certo mandarlo giù.
E il fantasma gli sorrise indicando
l’orologio.
Rotto.
Fermo ad indicare tutto e niente: la
lancetta vibrava impazzita da un orario all’altro a seconda di chi metteva
piede sul treno.
L’ora della loro morte era il biglietto
d’entrata.
-Va a sederti, non puoi stare qui. Qui ci
sto io, io guido il treno,-
E il fantasma ascoltò il vecchio, ma
mentre lui stava uscendo una ragazzina entrò con i capelli zuppi d’acqua
gocciolante.
Le labbra cianotiche e le occhiaie le
davano l’aspetto di una bambolina di porcellana.
-Ciao Vecchio!- così lo chiamavano, così
lui era.
-Non sta bene dare del vecchio. Va a
sederti, qui ci sto io. Io guido il treno.-
Era una nenia la sua, dopo anni di
abitudine.
-Vecchio, ma tu non muori mai?-
-Che domanda è?!- si girò con in mano la
chiave inglese più grande e rossa che la bambina avesse mai visto.
-Certo che morirò! Sono un uomo io!-
sventolava alterato quell’oggetto facendole paura.
-E se mi colpisci?- gli disse indicando
con l’indice l’arnese, ma subito nascondendo il dito.
-Se ti colpisco…se ti colpisco, dice!
Virginia, sei morta bambina mia,- avvitò un bullone che aveva avvitato tutte le
notti da quando una sola volta si era svitato -Morta.- concluse a bassa voce
afferrando i comandi.
Virginia si pulì l’orlo del vestito, si
allacciò il fiocco in testa che subito si abbassò floscio e tornò alla sua
cabina.
-Tutti morti qui,- disse a nessuno in
particolare guardando fuori dal finestrino.
Poi partì.
Il treno cigolava ciondolando sui binari,
le chiacchiere dei fantasmi gli arrivavano all’orecchio perché si sa l’aria le
trasporta.
E un treno in viaggio di aria ne ha
sempre tanta.