sabato 18 maggio 2013

[I Riti dello Scrittore] La confusione poetica

A volte uno scrittore è talmente entusiasta del suo lavoro, che spesso non si rende conto di doverci anche riflettere sopra razionalmente. Altre volte ci riflette sopra talmente tanto da stancarsi, arrivando a non capire come riempire uno spazio vuoto.
In entrambi i casi si ha la "confusione poetica".

La confusione poetica consiste in una fase di stallo in cui lo scrittore cade, trovandola soffice calda e rassicurante. Tutte queste sensazioni sono molto intense, a tal punto da rendere lo scrittore fiero di quello che è riuscito a creare. In alcuni momenti sarà pure convinto di aver creato un autentico capolavoro, arrivando a definire quelle righe, quel paragrafo, quel pensiero, insomma la confusione poetica, la parte migliore del romanzo. Il pezzo più bello che abbia mai scritto, la rivelazione focale di tutta la storia.

La risposta è no. Anche se a volte viene mascherata abbastanza bene da diventare un .

Questa confusione poetica consiste in un ponte di collegamento tra una parte cruciale e l'altra del medesimo capitolo oppure al finale dello stesso.
Come anticipato analizziamo i due differenti scrittori: Alfa e Beto.


Alfa sta scrivendo una storia, procede con la sua narrazione entusiasta e piena di sentimento, senza rendersi conto di star calcando la mano su quest'ultimo, a tal punto da creare poesia narrativa.
Vedete, qualunque libro o racconto stia scrivendo Alfa - cyberpunk, rosa, horror... -, non si rende conto che passare da una narrazione sentita a una narrazione poetica può essergli fatale: il personaggio protagonista sembrerà completamente ubriaco, perché procederà solo a metafore, riflessioni sulla vita e poi tutto diventerà  un cigno che deraglia (Punto 21 dei "40 consigli di scrittura" di Umberto Eco).

Beto, invece, è molto puntiglioso. Rilegge più volte ogni paragrafo scritto oppure, semplicemente, è partito con il piede giusto e non vede l'ora di realizzare il suo tempo record raggiungendo i 5 chilometri nei famosissimi 5 minuti.
Nessuno ha mai provato? Facile, funziona così: tu inizi a scrivere, sapendo dove vuoi arrivare. Pensi che il passo sostenuto faccia per te e allora scrivi tanto, tantotanto. La meta si avvicina, il momento cruciale di cui vuoi tanto parlare è alle porte, o così ti dicono le tue gambe, perché ti sembra di aver corscritto talmente tanto che è ora. Com'è possibile che tu debba descrivere ancora così tanto per arrivare a quel dannato bacio, accoltellamento, salvataggio?
La soluzione ti appare davanti agli occhi. Prendi l'autobus, chi ama particolarmente il rischio prende il taxi.
Questo mezzo a quattro ruote, che ti accoglie nel tuo momento di fatica, ti fa scrivere cose del tipo "cadde, disteso a terra, svenuto. Un rumore di voci lontane gli perforavano il cuore meccanico. Lui si sentiva vivo, nonostante fosse come un cigno che deraglia" - spazio di due righe - "Quando aprì gli occhi, una luce molto intensa lo infastidì. Cercò di coprirsi il volto, ma le mani gli erano state legate. Sentì la cinghia tirare e una figura indistinta gli si avvicinò al capezzale: -Va tutto bene,- e gli accarezzò la mano amorevolmente. -Sei di nuovo a casa.- Non riusciva ancora a mettere a fuoco il suo viso, ma si concesse di chiudere gli occhi, perché quella voce non poteva che essere quella di...", e qui mi fermo per non svelarvi il finale.
Lo svenimento poetico o la presa di coscienza poetica sono cigni che deragliano se accadono in seguito a una scena d'azione o comunque dettagliata.
Io non ho idea di che rumore facciano i cigni che deragliano, ma a leggerne non sembra portino niente di buono; la poesia come ponte narrativo è il voler riempire a tutti costi uno spazio per arrivare a un altro, che si tratti di una parte centrale o del finale. 
Perché tutta questa fretta? Fare maratone di scrittura per riuscire ad arrivare al punto tanto agoniato, non aiuta. La narrazione ne perderà molto: ritmo, caratterizzazione e magia (sì, scrivere è come fare una magia: non si svelano i propri segreti e bisogna sempre riuscire a darla a bere a tutti).

A questo punto un paio di promemoria per me stesse e per voi altri:

Alfa, esprimere sensazioni intense non vuol dire produrre automaticamente una poesia. Pondera, anche una descrizione senza paroloni difficili e metafore fuori dal comune possono rendere quello che vuoi esprimere.
E tu, Beto, ricordati che lasciare spazi tra un paragrafo e l'altro, per tagliare la narrazione di cui non vuoi scrivere, non è sempre la soluzione. Anche perché, se una persona reale svenisse ogni volta che deve affrontare un momento particolare della sua vita o si mettesse seduta sotto una quercia a riflettere sul senso dell'universo mentre i proiettili scattano a destra e a manca, penso durerebbe poco. 
Veramente poco.



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