Classificatosi al 10° posto del concorso letterario "Emozioni in bianco e nero" - 2011, indetto da Edizioni del Poggio.
Pane
Elisa se ne stava in macchina.
La sentiva scuotersi leggermente mentre la teneva in folle.
In fondo alla strada vedeva poco
chiaramente il semaforo rosso.
Aveva spiovigginato tutta notte e
solo verso le dieci il cielo aveva deciso di smettere; ora lei se ne stava lì
ferma ad osservare il suo parabrezza: una lunga goccia era stata trascinata dai
tergi cristalli, tracciando così una linea d’orizzonte sbilenca.
Dall’alto ne cadevano tante altre
ed Elisa notò che una sola di loro arrivò convinta, attraversandola: tutte le
altre si limitarono a scivolarci addosso.
In un qualche modo contorto si
sentì quasi scossa, ma una serie di clacson la svegliarono e si costrinse a
ripartire.
Indossava una giacca lunga e
pesante di colore beige, solo per non accendere il riscaldamento: le faceva
bruciare gli occhi ed era sicura che chiunque percorresse la corsia di fianco
avrebbe notato quanto le imprimesse una stupida espressione essere puntata da
quel tipo di calore.
Scalò di marcia come pochi mesi
prima non avrebbe mai osato e poi mise la freccia a destra; rallentando, il tipo
dietro di lei decise di superarla evitando per un soffio un incidente con
un’alfa.
Fece qualche altro metro e
parcheggiò davanti alla panetteria “Chicchi di Grano”.
Entrata dalla porta risuonarono
le campanelle appese proprio sopra di essa, e Luca uscì sgarbato.
Era di pessimo umore, la mattina
aveva giusto litigato con sua moglie riguardo alle maledette etichette che
stanno nascoste nelle maglie. Sua moglie lavorava e penso lavori tuttora, in un
negozio Benetton.
In quanto a commessa avrebbe
dovuto sapere quanto fossero fastidiosi gli inutili foglietti:
- Cos’è? Un libretto di
istruzioni? Hanno paura che non sappia dove infilare la testa? Per l’amor di
Dio, Sara tagliali! -
Risalito in macchina sbuffò
lanciando il pane sul sedile posteriore.
Finalmente aveva smesso di
piovere e anche se il cielo era di un grigio topo, a Luca andava bene. Stava
per affrontare un pranzo.
Non importava che tipo di pranzo,
era un pranzo, e anche se fosse stata una cena lo avremmo sentito brontolare
comunque.
Avrebbe dovuto chiacchierare per
forza, perché ai pranzi ci sono sempre un sacco di cose che sei obbligato a
fare.
Devi essere felice, non sereno o
pacato o contento. Felice.
Devi mangiare con gusto e Luca
odiava vedere gli altri mangiare con gusto durante quei pranzi: l’espressione
da “ma quanto è buono!” con il cibo in fase di masticazione gli dava sui nervi,
ma più di tutto odiava il rumore. Non c’erano chiacchiere che tenessero, perché
sentiva masticare tutti.
Sempre, per questo lui era
arrivato ad un punto tale da rifiutare qualunque cibo che gli pareva avrebbe
avuto un rumore troppo forte.
Perché lui, al contrario degli
altri, rispettava i componenti della tavolata!
Mise la freccia a sinistra,
attese due o tre macchine, e poi partì.
Oltretutto avrebbe dovuto
ospitare la gente a casa sua, per questo il pane, per questo la fretta.
Inchiodò al semaforo rosso,
maledicendo il lento davanti e lo strombazzatore dietro. Maledisse i pranzi e
le cene e il prurito che gli procurava la camicia sulla spalla destra.
Tornato il verde, tornò anche il
freddo con rischio neve ed Elisa se ne uscì scoraggiata dalla panetteria dopo
una fila troppo lunga.
Aveva pensato, e solo dopo si
accorse di come i suoi ragionamenti fossero collegati da sonore buche.
Era come ricordare un blabla
lontano, peccato che fossero suoi.
Risalì in macchina evitando con
il piede destro la pozzanghera davanti alla portiera, ma centrandola con il
sinistro.
Sbuffò quasi annoiata ed entrò
buttando sul sedile posteriore il sacchetto di pane.
Accesa la macchina guardò l’ora:
11.15.
Tardi, era veramente tardi.
Mise la freccia a destra e partì
facendo rombare la macchina.
Il cielo, in quella direzione, si
stava rasserenando e questo l’aveva sicuramente spinta alla scelta.
In realtà le uniche mansioni di
quella mattina erano sistemare casa, prendere il pane e…
All’improvviso si dimenticò il
motivo del suo ritardo.
Perché le undici e un quarto
erano “tardi”?
Scosse la testa ed accese la
musica, decidendo di passare da casa prima di fare qualunque altra mossa.
Il semaforo si fece arancione e
lei rallentò, una ragazza le sfrecciò alla sua destra inchiodando sulla linea
perché ormai era venuto rosso: Valentina arricciò le labbra, ma poi si mise
tranquilla.
Il motorino era tutto un tremito
e lei, per non patire troppo freddo alle mani, aveva escogitato un piano quasi
infallibile: si era infilata ad una mano entrambi i guanti, mentre l’altra la
teneva al riparo nel piumino.
E anche se di tanto in tanto era
costretta ad estrarla, alla fine non stava patendo poi tanto freddo.
Il semaforo tornò verde e lei
poté ripartire sentendo l’acqua sull’asfalto fare piccole onde sporche.
Alla rotonda dovette tornare
indietro e quando finalmente fu sulla strada giusta, svoltò a destra continuando
lungo quella minuscola via: il motorino era l’unico rumore e dagli specchietti
vedeva l’alone nero del gas che si diramava verso l’alto, le case tenevano le
luci nei portici accese e le finestre avevano i vetri chiusi ma le tende
accostate.
Spense il motorino e si tolse il
casco mettendolo sotto al sellino. Il pane era rotolato verso il basso e una
pagnotta era uscita ricoprendosi delle sicure sporcizie: abbandonandola lì andò
al civico numero quattro e bussò.
Elisa aprì la porta, appoggiò le
chiavi sulla TV proprio vicino all’ingresso, e si gettò sul divano.
Dalla sua aveva la solita scusa:
era nata di domenica, era nata propensa al riposo e probabilmente annoiata.
Aveva lasciato il pane in
macchina e se ne era accorta perché glie ne era venuta voglia.
Ma certo non si alzò per andarlo
a prendere.
Avrebbe tanto voluto sposarsi in
quel preciso istante.
Era sicura che nel matrimonio,
l’uomo sarebbe andato a prendere il pane, mentre lei sarebbe stata a casa a
fare l’intellettuale.
Era laureata in biotecnologie e
la sua aspirazione più alta era sposarsi e fare la casalinga.
Intanto, in attesa dei sogni,
lavorava in un call-center: giusto per ridursi agli sgoccioli ogni fine mese al
momento del pagamento della rata.
E a proposito di acqua, non aveva
ricominciato a piovere, questo le dispiaceva: voleva compagnia.
Una compagnia di rumori e silenzi
che invece Luca continuava a non apprezzare.
Erano giusto arrivati al primo,
cioè la prima parte realmente rumorosa: l’antipasto era quindi da contare come
piattaforma zero. Il via.
Tutto questo per il compleanno
dei nipoti gemelli, per fortuna solo due.
Sara, di grazia, aveva cucinato
delle penne: si sentiva fortunato, visto che non erano spaghetti. Riguardo a
questi in effetti c’erano racconti ed esperienze a dir poco allucinanti che,
piuttosto di farle affiorate, si preferiva evitare con scrupolo.
Non odiava la sua famiglia, ma
c’erano davvero giorni in cui avrebbe davvero potuto farne a meno.
Addirittura coricarsi nello
stesso letto con un'altra persona gli procurava un solletico leggero su tutta
la pelle, una sensazione troppo simile al ribrezzo che provava nel toccare i
piatti sporchi nel lavello.
Il telefono squillò e Luca glie
ne fu veramente grato; si alzò da tavola trattenendo al petto la cravatta per
non intingerla nelle penne ed andò a rispondere alla chiamata, speranzoso si
trattasse di una trattativa da tenere per le lunghe:
- Pronto?
- Alberto?! Elisa dov’è?
Una voce anziana con una leggera
asma bronchiale gli aveva rivolto due domande che però parevano una sola.
Avrebbe tanto voluto essere Alberto, e ci pensò su prima di riattaccare
sconsolato, ma l’abitudine lo riportò a tavola:
-No signora, ha sbagliato numero.
Mi dispiace- era vero, gli dispiaceva e la signora anziana al capo dell’altro
telefono si scusò. Erano scuse lunghe che per una volta gli fecero realmente
piacere, si era risparmiato il rovescio del vino e se l’avesse trattenuta per
altri due secondi si sarebbe perso lo strepitare dei festeggiati: entrambi
gelosi del regalo dell’altro.
Messa giù la cornetta, Silvia
inforcò nuovamente gli occhiali e percorse abbastanza meticolosamente l’elenco
della rubrica.
Trovato il numero della nipote
provò a ricomporlo nella maniera corretta, pur credendo in cuor suo di avere il
numero sbagliato: il telefono iniziò a petulare come suo solito, finché
dall’altra parte una voce femminile non le rispose.
- Pronto?
- Elisa, sono la nonna.
- Oh ciao nonna, come va?
- Bene tesoro, tu?
- Sì bene, che succede?
- No, mi chiedevo solo a che ora
pensavi di passarmi a prendere… La messa inizia tra quaranta minuti e non so
quanto tu ci metta ad arrivare qui.
L’impegno più importante della
mattinata si era fatto vivo nominando un morto, ed improvvisamente si ricordò
pure che il pane era per sua nonna.
-Stavo giusto partendo adesso… Vestiti
che arrivo.
Elisa in realtà si era messa in
pigiama ed aveva appena ricominciato a leggere un libro che aveva interrotto
tre mesi prima, la morte di suo zio aveva in effetti interrotto molte cose, tra
cui una gravidanza.
La zia aveva avuto problemi per
un mese intero, alcuni più gravi di altri, che la portarono ad un aborto
spontaneo e poco liberatorio.
La messa era in onore del
compleanno di suo zio e, seppur sfalsata di quattro giorni, nessuno si era
opposto a quella data.
In conclusione, in una data
qualsiasi per il ora defunto e ieri zio, si celebrava una messa con tanto di
pranzo.
Alberto, suo fratello minore, era
l’unico a non presenziare ed Elisa in un certo qual modo lo aveva invidiato
perché impossibilitata a fare lo stesso: ora come ora avrebbe desiderato anche
lei partire per un viaggio di lavoro e non tornare fino all’anno nuovo.
A quest’ultimo mancavano la
bellezza di quattro mesi, ed Alberto era partito ancor prima della morte dello
zio che gli era poi stata taciuta per giorni: fosse stata per lei glie
l’avrebbe taciuta fino al ritorno.
Scese nel parcheggio davanti casa
e salì in macchina; con lo stesso entusiasmo di un bradipo uscì e procedette
verso la casa di sua nonna: sarebbe arrivata in ritardo e avrebbero perso
sicuramente l’inizio della messa.
Valentina uscì da quella casa con
ancora in mano il pane, prese il suo casco e con rabbia lanciò contro un
parabrezza la pagnotta abbandonata in precedenza.
Lasciò perdere i guanti e partì
furiosa.
Il freddo si fece sentire dopo
solo il primo metro, ma ne era grata perché la manteneva lucida: litigare la
rendeva pensierosa e distaccata.
Aumentò il gas e sentì quasi il
motorino scapparle da sotto il sedere, un pizzicotto al cuore le fece tirare un
respiro di sollievo: cadere era fuori questione.
Elisa passò con l’arancione e si
beccò gli strepitii di alcune macchine, il cellulare iniziò a suonare e dal
nervoso lo guardò lanciandolo nuovamente sul sedile del passeggero.
Con lo sguardo cercò un
parcheggio, ma la strada proseguiva dritta.
Più in là, all’incrocio Valentina
frenò brusca, appoggiato il piede a terra attese il verde.
Elisa muoveva di scatto il collo
per leggere la rubrica e nel contempo guardare la strada, il telefono fece bip
e lei entrò nella cartella dei messaggi: Alberto le chiedeva di fare altre
condoglianze e scuse.
Era verde e Valentina ripartì,
mentre Elisa scalò di una marcia.
Il telefono tornò a suonare ed
Elisa lo cercò con la mano afferrandolo al contrario, Valentina si faceva più
vicina, mentre lei si spostò troppo a sinistra scaraventandola giù per quel
piccolo fosso.
Il pranzo era iniziato alle 12
spaccate e all’una precisa era terminato con il venerato sollievo di Luca.
Non avrebbe potuto chiedere
regalo migliore: nel pomeriggio era stata organizzata la vera festa di compleanno
che non potevano rimandare.
Grazie e ancora grazie,
continuava a ripetersi nella sua testa cercando di controllare i muscoli
facciali.
L’idea che voleva dare era quella
del normale parente che saluta la sua famiglia, ma quel sorriso era troppo
prorompente.
Preso dal tanto entusiasmo salutò
i gemelli sollevandoli per aria, fece fare loro l’aeroplano e li rimise a terra
ancora vorticanti.
Ridevano e lui era felice, felice
come ad ogni pranzo era giusto mostrarsi.
Sara scuoteva leggermente la
testa conoscendo alla perfezione i suoi modi, ma non disse niente…come sempre.
Salutò la suocera e Luca si
sbracciò in un ultimo saluto, poi un’ambulanza passò di tutta fretta lungo la
strada principale: vide sua madre farsi il segno della croce, mentre lui si
limitò a sentirsi pure fortunato.
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