mercoledì 11 luglio 2012

Mi ricordano le rondini che disegnavo da bambina, una semplice V nel cielo.

Le pseudo vacanze sono iniziate ieri, giorno che mi è servito per riprendermi dal mese e mezzo di studio intensificato. Quindi sono qui oggi per spargere tutto il mio entusiasmo riguardo le serate di venerdì 6 e sabato 7, tenutesi allo Spazio Gerra.

È stato spettacolare vedere così tanti artisti impegnati in una maratona di 24h, artisti che hanno collaborato per creare un evento ricco e nuovo. 
Pitture, foto, cortometraggi, racconti, poesie, musica e danza hanno riempito il locale dando a Reggio Emilia un'atmosfera proprio piena.
Un ragazzo - Manuel - ha continuato a disegnare gli animali più disparati e persone in più di una posa, per tutto il tempo: una full immersion nella sua creatività che la si vedeva scorrere anche dal giardino, visto che lo Spazio Gerra è formato per la maggior parte da vetrate. 
Ma la mia più grande felicità è stato farvi parte.
Ho scritto la storia per le immagini di Monica - link alle foto delle serate -, o almeno la mia versione della storia, e sono contenta dell'immensa sintonia creatasi tra noi.
Monica - link ai preparativi - ha poi creato alcuni segnalibri unendo i suoi disegni alle mie frasi - e per un attimo ho dubitato fossero le mie, visto quanto era bello il risultato.

Come potete notare questo post è tutto un vanto, ma a mia discolpa dico che è puro e semplice entusiasmo.
Siamo perfino andate in onda su Radio K-Rock e lasciare le cuffie è stata una mezza tragedia per l'ormai grasso egocentrismo spuntatoci!
*Prossimi obbiettivi: avere un canale radio* 
*Inspira, espira*

Bene.
Ora che avete visto le sue creazioni, mi sembra opportuno presentarvi la mia. 


Non infrangere i miei sogni.


Da bambino ho sempre creduto che i formicai fossero i punti di respiro della terra.
Rimanevo incantato a guardarli, finché non mi decidevo a espirarci dentro, e il nugolo di formiche usciva pronto a braccare ogni singola particella della mia aria.
Era questo che credevo. E non ho mai ucciso una formica in vita mia.

La sedia cigola non appena la si fa arretrare, come se avesse messo radici.
L’ombra si stira sul pavimento, senza abbandonarlo. È la sedia senza volto: come la donna che passava dai campi biciclettando, della quale vedevo solo il capo allungato.

La finestra aperta dà sul verde, un campo leggermente in salita. E mia nonna è ricurva: non si capisce se lo è per raccogliere qualcosa o per seguirne l’andamento.
Strappa ciocche di radicchi scuri e li raccoglie nella tasca larga del grembiule, ancora sporchi e umidi.
Sembra racconti una storia: una storia di fatica, una storia di pirati.
Da bambini è facile essere la formica laboriosa.
I panni stesi si accompagnavano al suono delle cicale – immobili si lamentavano di qualcosa –, ricordo il bagnato tra le dita accaldate. Scuotevo l’ammasso bianco, rigonfiandolo di un’aria fiacca.
Mollata la presa, correvo a sostenere i soffi di mia sorella: le guance gonfie, le braccia strette al torace e il busto che si spingeva in avanti per aumentare la forza del nostro tentativo.

I nodi del legno si alternano lungo le assi del tavolo, fanno da corolla alla tazza tonda. Il biscotto affonda nel latte: le bolle che emergono non sono fili di perle come quelle dello spumante. Si spengono appena il corpo affonda: lo risollevo con il cucchiaio, è tanto imbevuto da sciogliersi. In bocca arriva dritto il sapore e il latte è macchiato da sottilissime briciole.

La figura di nonna ha sempre tagliato l’orizzonte, un orizzonte mosso. Un orizzonte di sfondo.
L’intera Terra, ora, sembra essere incorniciata dagli infissi, una terra di limiti che noto solo ora stando seduto a capo tavola.
La sensazione è quella di una profonda nebbia densa che pervade il corpo. Quello stesso torpore che ti culla nel momento esatto in cui stai per toccare il sonno, ma sei ancora abbastanza sveglio da potertelo godere.
Sentirsi dormire è ancora meglio di dormire e sognare: è il luogo dei pensieri realizzati.

Il nonno scosta l’altra sedia. Cammina ricurvo da un lato, è scomposto e si veste troppo. Ha le grinze attorno alle labbra, un accenno di barba che pare bluastro.
Lui è peggio della sedia: i piedi si spostano senza staccare le loro radici.
Appoggia gli avambracci sul tavolo e mi chiede qualcosa che c’entra con l’essere grandi; la nebbia si dissolve.

C’è una linea sottile tra l’essere bambini e l’essere anziani, il punto dal quale passa ogni cosa è l’essere fortemente convinti di qualcosa.
Forse si tratta solo di sogni che non vogliono essere infranti, ma sta di fatto che da bambino ho sempre creduto che bere il caffé fosse una cosa da grandi.
Da quando mi è stato chiesto di diventarlo, ne bevo un goccio ogni mattina.
E nemmeno mi piace.


1 commento:

  1. i miei disegni in parole. perfettamente.
    grazie per avermi sopportata e supportata.
    grazie anche per avermi aiutata a scoprire il mio lato egocentrico...da venerdì scorso ho deciso che deve diventare il mio miglior pregio
    dov è la radio??! la MIA radio!

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