lunedì 9 luglio 2012

[I Riti dello Scrittore] Il diario

Ho sparato articoletti con tranquillità, un lunedì dopo l'altro, e non mi sono accorta di essere rimasta a corto di proiettili.
C'è la possibilità che mi prenda qualche lunedì di pausa - già successo - o che lunedì prossimo vi stupisca con un'uscita a effetto, questo proprio non lo so.
Questo caldo mi fa dubitare perfino del mio nome, e io ne ho tanti tra cui scegliere. Non beccarne almeno uno sarebbe abbastanza grave, no?
Comunque.
Vi lascio in compagnia di questo colpo basso: una sottile idea un po' stronza mi ha solleticato la mente.


Oggi voglio chiarire a me stessa e a voi altri a che cosa serve un diario.
Sembra una cosa semplice e in effetti di poco conto, chi non ha mai scritto un diario? Almeno una pagina, chiunque l'ha azzardata, e non importa se è accaduto in tenera età o se abbiate iniziato giusto l'altro ieri, sta di fatto che la Sindrome Diaristica colpirebbe anche un ippopotamo se potesse!

Tralasciando gli ippopotami e il tempo atmosferico - chissà perché ma è uno degli argomenti più fuorvianti mai esistiti - proviamo ad analizzare ciò che superficialmente è un diario: un dialogo interiore, una confessione scritta di ciò che più intimamente viviamo. Ma non solo! Accadimenti, opinioni, elenchi di progetti fatti e infattibili... Tutta la nostra testa, il nostro essere, sembra potersi concentrare su un diario.
E quando le pagine finiscono possiamo sempre prenderne un altro oppure stancarci e abbandonarci al Carpe Diem.
Ma perché scriviamo un diario?
Perché scrivere qualcosa che è già tranquillamente al sicuro nella nostra testa?
È possibile che si preferisca un lucchetto con un paio di chiavi facilmente smarribili e pagine facilmente sbirciabili, al nostro cranio?
Che poi anche se ce lo rompessero tutto rimarrebbe lì dentro, nulla ne sguscerebbe fuori!
Io il perché sento di saperlo: egocentrismo.
Unito a una spruzzata di suspance seguita dal furore nel caso i nostri terrori si avverino: qualcuno ha letto il nostro diario.
Ma rallegriamoci ora abbiamo qualche cosa d'altro da scrivere: tutta la nostra frustrazione potrà finire sulle pagine e chi lo sa, magari un giorno ne salterà fuori una bella autobiografia da poter pubblica...
Visto?!

D'accordo, calma e sangue freddo: procediamo con ordine.

Una delle forme diaristiche più conosciute è quella alla Robinson Crusoe: solo su un'isola probabilmente deserta e dalla quale difficilmente farà ritorno, è normale che un uomo nel mezzo del cammin di sua vita decida di mettere giù qualche riga.
Un giorno, forse lontano, potrebbero approdare su quell'isola e colonizzarla e sapere che qualcuno ci aveva già provato, che qualcuno era già approdato su quelle terre costruendosi una vita.
Ma noi, che di isole conosciamo solo la Sardegna e la Corsica, che diavolo ci facciamo con un diario?
Insomma, a meno che non si sia così dannatamente sicuri di finire in coma o di subire l'Alzheimer, il diario non è che un'eco delle nostre voci interiori.
È probabile che qualcuno si conceda strabilianti teorie su se stesso, analizzando nei minimi dettagli un proprio atteggiamento, magari arrivando alla soluzione... Ma perché non sdraiarsi sul letto a guardare il soffitto in legno ventilato della propria camera?
Volendo fare un paragone estremo è come se cercassimo di far competere la velocità della penna contro quella di una tastiera: c'è qualcosa che non va, non credete?

Quindi sì, non vogliamo tenerci tutto per noi, vogliamo dannatamente condividere con qualcuno quel qualcosa che a voce non riusciremmo mai a confessare.
Ci piacerebbe dire che all'asilo ci mangiavamo le caccole, ma come si fa? E vorremmo dire che noi Dio lo vediamo sul serio e ci dialoghiamo pure, ma come cavolo possiamo dirlo in questa società che ammette Dio senza permettere a nessuno di poterci parlare perché la si ritiene follia?
Allora scriviamo, ci rivolgiamo a quel "caro diario" che solo a volte ha un nome - e solitamente stupido tipo Kitty o Teddy o Didi - perché siamo pronti a rivolgerci a chiunque lo scopra.
E anche quando raccontiamo i nostri segreti alle amiche c'è sempre quel qualcosa che teniamo... per il diario! E perché non per noi?
Perché è così, lo scrittore è, anche solo un pizzico, egocentrico.
O forse terribilmente bisognoso di approcciarsi con qualcuno: qualunque cosa scriva la farà leggere e allora perché non includere anche la propria vita?
Il diario è anche fatto per gente sola che necessita fortemente di buttarsi tra le braccia di qualcuno, non è un modo per stare soli ma per evitare di stare soli.
E se sei uno scrittore, perché in genere lo sei, il diario non sarà mai così irraggiungibile da mani altrui: ascoltando le parole di Edgar Allan Poe non lo lascerai proprio in bella vista, ma magari lo nasconderai nel cassetto dei quaderni, magari vicino a quello della biancheria.
Così che tua madre possa aprirlo per sbaglio e dargli un'occhiata.
Moriamo dalla voglia di sapere come reagirebbero davanti alla nostra testa che nella vita di tutti i giorni non può mostrarsi in tutto, così ci ritroviamo a scrivere un diario.
Ma appena non riceveremo la moneta che ci aspettavamo, rimanendo delusi, ci dirigeremo altrove e probabilmente ci butteremo su una serie di racconti fin troppo realistici.

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