I miei post sono sempre più lontani l'uno dall'altro. Ora come ora lo studio c'è - non manca mai -, però non è certamente intenso come nel periodo di maggio e giugno, quindi il mio ragionamento è questo: pubblico meno post dal momento che ho da bilanciare un impegno minore? Più studio, più post per distrarmi, meno studio, meno post per distrarmi?
Possibile, ma così non si può andare avanti! In agosto spero di avere un'idea fulminante per occupare le nostre giornate.
Comunque, oggi propongo il terzultimo racconto di questa raccolta, così poi ne mancano due per ciascuna.
Al termine li rileggerò tutti, li riguarderò con cura e pubblicherò entrambe su issuu, ora che ho l'account mi devo sbizzarrire!
Intanto, buona lettura.
Mimami
Era in quei rari casi di assoluta
quiete e pace che Veronica si sentiva davvero muta.
Era come se in realtà, avesse
fumato da tutta una vita, e le parole le si fossero condensate in quello strato
innominato tra polmoni e pelle.
Aveva in quei momenti, la necessità
fisica di impegnare la sua mente in discorsi, anche se futili.
Era come un rimorso, solo che non
poteva veramente erigerlo come tale.
Come ogni essere umano, seppur
non lo fosse, aveva dieci dita.
Presa da questa nebbia
avvinghiata al petto, rimase raggomitolata sul letto scomponendo appena le
coperte sottili.
L’appartamento era sempre stato
vuoto, l’aveva riempito con così poche cose per sentirne ancora l’eco.
Era raro che s’alzasse dal letto,
ma quando lo faceva spalancava bene le ali sgranchendo ogni singola piuma.
In quel periodo particolare della
sua vita, le sentiva alleggerirsi di giorno in giorno: come angelo caduto aveva
sempre fatto una gran pena perfino a Lucifero. Le piume si staccavano come le
foglie d’autunno, sfiorando il pavimento in un tocco leggero.
Veronica camminava rigorosamente
in punta di piedi, quei tacchi invisibili le facevano raggiungere il metro e
sessanta.
Aveva provato più volte a
dedicarsi alla musica, per creare rumore, un rumore che si condensasse sulle
pareti o che si facesse sentire la mattina dopo, ma ogni strumento provato
l’aveva stancata dopo essersi fatto accordare.
Così o li nascondeva nelle
rispettive scatole oppure li faceva a brandelli: il violino era stato
scompigliato più volte, le corse puntavano verso l’alto arricciate, mentre
tutto attorno era stato decorato con leggere coltellate.
Ad avere una sorte migliore
rispetto ai ridotti male, era stato il pianoforte.
Chiaramente la sua mole gli era
stata di enorme aiuto e Veronica si era limitata a sganciare i tasti e a
camminargli sopra di tanto di tanto.
Un giorno, mentre le rilette sul
terrazzo le appassivano, mentre la pasta dentifricia continuava a non voler
rientrare nel suo tubetto, mentre un’altra piuma cristallina cadeva a terra, le
bussò alla porta il Mimo.
Un uomo silenzioso che era stato
capace di dirle ti amo con la sottile movenza delle labbra.
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