Vi risparmio la fola riguardo quanto sono impegnata e passo subito al dunque: la raccolta "Frammenti da un Luna-Park" torna sui vostri schermi!
Siete entusiasti, lo so, quindi procediamo...
NONOSTANTE TUTTO.
Ci
abbracceremo con le dita, e ci soffieremo tra i capelli parole d’amore solo per
poterci tradire mentre sgranocchiamo i cereali a colazione.
Non
siamo la coppia Mulino Bianco o “cereali croccanti per vivere in armonia”, non
lo saremo mai.
Ci
abbracciamo nel letto, al buio, solo per ricordarci che non siamo soli e al
mattino è come fossimo in due mondi diversi.
Sentiamo
gli aliti cattivi, l’uno dell’altro, e non ha senso.
Mangiamo
mentine per pulirci il palato dai baci e usiamo il dentifricio per proteggerci
dai se:
“No,
scusa, mi sono appena lavato i denti”.
Ci
salutiamo con il Buon Giorno sapendo che non lo sarà, rideremmo se non fosse
che è tutto troppo triste.
Nonostante
tutto rinnoveremmo la promessa, perché l’unica cosa che ci manca è l’amante
nell’armadio.
Siamo
arrivati al capolinea quando abbiamo comprato due detersivi diversi.
Abbiamo
preso due treni opposti per l’orario del pranzo e anche se non sembra l’unica
mancanza che abbiamo, ci permette di vederci al centro commerciale con due
liste della spesa e due carrelli:
“Credevo di doverci pensare io”.
Nonostante
questo siamo sempre riusciti a non comprare due volte le stesse cose.
Ammazziamo
i ragni solo per liberare un angolo in cui buttare le briciole, le mosche le
scacciamo via dai piatti come per fare un complimento al cuoco: “Dai non fa
così schifo”.
Ci
abbandoniamo sul divano alla sera: io per vedere rai due tu per vedere sky 301.
Siamo
arenati nella spiaggia della desolazione, perché pure un cactus sembra più
felice di noi.
Abbiamo
un cane e un gatto spiumato perché non avevamo il tempo di comprare una vasca
coi pesci e il loro beato silenzio.
Riusciamo
a masticare dandoci sui nervi e non beviamo caffè nella speranza di chiudere
gli occhi in tempo per non vederci.
Il
resto del giorno siamo a lavoro e non siamo così sicuri del lavoro dell’altro.
Abbiamo
due auto solo per poter prendere due strade diverse al mattino.
E
con noi si è risolto l’enigma del “lenzuolo più coperta”: tu di qua io di là.
Sempre.
L’unica
foto in cui siamo insieme è quella del matrimonio e non sorridiamo, sembrano
pure due estranei: lui con la cravatta stretta per non far arrivare troppo
ossigeno al cervello e lei con il corsetto per non farlo arrivare alla bocca.
Il
taglio della torta lo hanno fatto i miei e il bouquet non è stato lanciato per
paura di incastrare qualcun altro come ci siamo sentiti incastrati noi.
A
questo punto potremmo ingrassare e ubriacarci, ma ci sentiamo ancora single e
in caccia.
Teniamo
sui cartoni del latte il nostro adulterio.
Ci
diciamo Buona Notte perché sappiamo che lo sarà: non dovremo guardarci negli
occhi.
E
ancora non vogliamo farla finita?
Perché
poi ci prepareremo lo spezzatino stopaccioso per vedere l’altro in difficoltà
con coltello e forchetta a togliere il grasso, o il brodo perché sappiamo che
lo succhieremo dal cucchiaio rumoreggiando: tutto per odiarci di più.
E
staremo in silenzio, seduti ad un tavolo, diametralmente opposti.
Ci
muoveremo sulle sedie per accavallare le gambe e darci un calcio ricordandoci
che la gente non scompare semplicemente ignorandola.
Saremo
nati per stare assieme, e in un giorno improbabile ti amerò, ti amerò per
davvero.
All’età
di sei anni costruivo pupazzi di neve.
Mettevo
la carota, due ceci, una banana per naso, occhi e bocca: insomma, non ero
volgare.
Lo
facevo solo per vedere i barboni mangiare.
Più
avanti mi divertivo ad immaginare una ragazza attraente intenta ad inumidire il
capo di un filo per infilarlo nella cruna, e il suo spasimante dall’altra parte
della sala a srotolare il gomitolo per prendere il capo opposto.
Lui
mangiava il filo come uno spaghetto e all’ultimo, speranzoso di un bacio rubato
alla sua lei, si ritrovava ad aver risucchiato l’ago.
Era
tutto sbagliato in me e tu volevi farlo sembrare giusto.
Facevo
del sarcasmo per ferire e tu dicevi che invece era solo spassoso.
Mi
volevi smontare come un orologio a cucù senza accorgerti che il mio cuore
avrebbe continuato a fare cip cip.
Odio
la matematica e tu la ami, amo scrivere e tu non ne sei capace.
Mi
definisco purista della grammatica e tu dici “gli ho detto a Samantha”.
Se
è sbagliato scriverlo è sbagliato dirlo.
Vuoi
una posata io una forchetta.
Vuoi
un gioiello io una collana.
Vuoi
un riconoscimento io una spilla.
Pescheresti
a caso in una boccia di numeri per tutta la vita con una benda agli occhi,
mentre io voglio sapere se sono numeri o granchi.
Guardi
i cartoni per ridere, io per capire la gente.
Accetti
tutto così com’è per la sua semplicità, perché per te tutto è sincero e chiaro.
Ci
sono scompensi in ciò che dici, non analizzi.
Non
valuti.
Prendi
e porgi, così.
Ti
metti il pigiama perché ti hanno detto che va messo a letto, cammini sulle
strisce pedonali, sui marciapiedi, stai sul lato destro della strada, non metti
sotto nessuno, mangi verdura, fai attività fisica, lavori, respiri…senza mai
dare una motivazione tua.
Non
ti appartieni, per questo mi prendo la libertà di confiscarti.
Mi
dispiace che tu debba scoprirlo così, da me.
Dal
vicino, da un amico o amica, da un parente…sarebbero stati tutti modi migliori.
Per
la prima volta vuoi una motivazione, vuoi un senso per tutto questo, solo che è
scontata detta in questo caso, perché se fosse vera non lo sarebbe:
“stanchezza”.
Non
hai mai analizzato abbastanza, perché tutto questo è “togliersi un peso morto”.
I
pesi morti, i morti, sono sbagliati da portarsi appresso.
Tu
sei un cadavere perché credi in una vita futura, ma non ti preoccupi di questa.
Non
abbastanza.
Cosa
ti costa allora farla finita per davvero?
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