domenica 25 novembre 2012

Specchiati oltre

Andando a riguardare i titoli dei post pubblicati, ho notato di essermi dimenticata un racconto per strada. Un racconto scritto per il progetto Land!Terra che ho letto alla serata del Poesia Festival a Piumazzo: "Specchiati oltre".
Ne avevo dato un assaggio proprio QUI e ora mi sembra giusto presentarvelo per intero.


Specchiati oltre

Parlare con i tassisti mi mette soggezione, per questo se mi rivolgono parola io fingo di non aver sentito. Rimango per tutto il viaggio con il gomito appoggiato al pianale del finestrino e il mento contro le nocche, e guardo fuori.
La radio fischia a ogni sobbalzo, ma riesco comunque a sentire le note di Iris. Il tassista cambia stazione o forse abbassa solo il volume.

- No, mi piaceva…

- Ah sì? - mi chiede, e alza il volume a un livello udibile.

Non dico niente, e penso che questa è una delle volte più inutili in cui rispondere.
La città si muove oltre il vetro, l’asfalto riluce di lampioni e pioggia ed è bello avere una colonna sonora che ci accompagni. Specialmente nei viaggi brevi: momenti in cui tutto si addensa nella testa, e al risveglio nemmeno ti ricordi di che cosa si trattasse.

- Sta tornando a casa o è in viaggio?

Il tizio si infiltra nella matassa di pensieri che fuggono dal tassì. Io annuisco con un sottile borbottio, ma lui non sembra farci troppo caso: lui sa dove sta andando, che gli importa di dove sto andando io?
L’auto inciampa in un buco, il mio gomito scivola dalla sua postazione e il mio naso piomba a un soffio dal vetro.
Il semaforo verde riverbera sull’auto mentre lo superiamo e il telefono squilla illuminando l’interno della borsa.

- Pronto?

È strano parlare al telefono con qualcuno mentre un altro ti ascolta. La conversazione perde parte del suo senso.

- Sì, sono per strada. Sì, è andato tutto bene…

Forse è normale chiedersi se vieni ascoltato, forse è normale chiedersi se capisce qualcosa di te.

- Niente di così strampalato, pensavo molto peggio. Alla fine… eh? No, non dovrebbe mancare molto.

Incontro il suo sguardo nello specchietto retrovisore e capisco che è così, non manca molto. Forse per ringraziarlo, forse per colmare il suo interesse, rispondo - Sarò a casa a breve. - e metto giù.
Lo sguardo nello specchietto non c’è più, ora è rivolto alla strada, e io torno a guardarmi intorno.

- Che bel tramonto all’orizzonte, non crede?

Dal canto suo deve essersi instaurato un certo rapporto, ma dal mio mi limito a pensare che è tutta la vita che corro dietro agli orizzonti. Ma poi ho capito che non sono altro che gli specchi di quello che ci siamo lasciati alle spalle. È come stare tra due pareti riflettenti: noi crediamo di muoverci in avanti, di correre, di perdere tutto quel tempo, e invece siamo ancora qui, ancorati al passato.
Ci slanciamo in avanti senza accorgerci di tutti quei fili che ci legano a chi siamo stati, a quello che abbiamo fatto. Tirando, ci trasciniamo a dietro tutti i ricordi e i momenti vissuti, ogni più singola ombra di noi stessi.
La Terra ci pare piatta e abbiamo lo stramaledetto terrore di scivolare giù.

- Eccoci qua. - Accosta, spegne l’auto e tira il freno a mano appena si accorge che la macchina slitta indietro. Apre la portiera e fa per scendere, ma io mi sporgo in avanti e gli appoggio una mano sulla spalla.

- Aspetti. - lui si gira e mi guarda dubbioso. - Le dispiace andare dritto per questa strada finché non tramonta il sole? Devo capire se la Terra è davvero piatta come sembra.

Con uno sguardo indecifrabile, forse tra il dubbioso e lo sconcertato, risale in macchina e riattiva il contatore. I numerini rossi salgono e il sole scende, giù, lungo il mio specchio.




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