sabato 17 settembre 2016

[Ci penso io] Fertility Day, una storia di cicogne api e cavoli

Non so in quanti si rendano conto che per la prossima settimana è previsto il Fertility Day, un giorno che dovrebbe ricordare al mondo di avere figli, aiutando peraltro a capire come, senza cicogne, cavoli ed eliminando la storia delle api.

Ci diranno anche come mantenerli?

Uno dei problemi che in effetti non viene nemmeno nominato è proprio questo: un figlio costa, e non solo da un punto di vista economico. Bisogna fare dei sacrifici per un figlio, il ché non è una cosa negativa, ma bisogna ugualmente tenerne conto.
Poi sarà che sono donna, ma una cosa che non riesco proprio a levarmi dalla testa è che i figli sono principalmente della mamma, almeno finché non superano la tenera età.
La donna, che fatica ad avere uno stipendio pari a quello dei suoi colleghi uomini, che deve chiedere la maternità e sentirsi domandare ai colloqui se intende mettere su famiglia.
Non che questa domanda sia fondamentale per il ruolo che andrebbe a ricoprire, non certo perché si tratta di una garanzia per le sue capacità di problem solving, ma più che altro perché una donna che vuole la famiglia sembra essere un rischio per la sua stessa natura.
Stupisce e ferisce che una donna venga messa in una condizione svantaggiosa dagli uomini per l'unica cosa che loro non sono in grado di fare, nonostante offrano il loro aiuto per renderla possibile.
E per quanto le pubblicità della Lines ci ricordino che non si vuole rinunciare al lavoro per la famiglia, o alla famiglia per il lavoro, il problema rimane stabile come un elefante invisibile, che si preferisce aggirare, anche se ci si sbatte contro una volta al giorno.

Poi ci sono tutti quei "mezzi" che aiutano le mamme e i papà a gestire i figli: l'asilo, la baby-sitter, i nonni... Eccetto gli ultimi, questi aiuti hanno un costo, per molte famiglie anche troppo alto.
Sono quelle famiglie che hanno figli e che si sentono criticare con domande come "perché non avete aspettato?", "era il caso di averne?", per poi essere sbeffeggiate dallo Stato che invita tutti a partecipare al giorno della fertilità, una campagna che chiede alle famiglie italiane di crescere di numero.

Un Fertility Day dove si parla anche di malattie sessualmente trasmissibili e di infertilità, peraltro unico argomento che vedo realmente collegato al concetto di salute, e che chiede alle persone di fare una scelta importante, ma come se fosse l'unica a disposizione. 
Siamo ancora troppo legati al concetto che una donna, per essere tale, deve essere madre: perché? Una donna, in realtà, deve anche essere moglie, ed è sempre meglio compiere questo passo prima dell'altro. Non sia mai che una donna voglia crescere un figlio per conto suo, o che non ne voglia crescere affatto.
In effetti, ormai ventisettenne, a volte mi domando se la mia scelta di non avere figli sia stata condizionata da come l'opinione pubblica si aspetta che vada la mia vita: studio, famiglia e lavoro, se ci riesci a tenerti l'ultimo. Altrimenti puoi fare la mamma a tempo pieno, ma anche su questo c'è sempre qualcuno che ha qualcosa da dire, e di solito non si tratta di compatimento.
Possibile che non si accetti che una donna è in grado di decidere per sé e da sé? 

Non tralasciamo, però, il problema dell'infertilità, perché sembra essere questo il fulcro intorno al quale si muove l'intera organizzazione: una malattia contro la quale bisogna combattere a denti stretti e con tutte le nostre forze, cercando di non prendere in considerazione l'adozione, che probabilmente comporta un calo di prestigio.
Deve essere stata creata una scala sociale delle famiglie, dove in cima governano e comandano le famiglie con tanti figli, nessuno adottato.

E a tutti questi figli cosa vogliamo insegnare? 

Forse che le persone non devono per forza condividere la stessa visione della vita, forse che sarebbe sano e salutare abbandonare tutte gli schemi e le imposizioni retrograde che vedono la donna come una costa dell'uomo o che definiscono malati persone che non lo sono affatto.



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