Andando a riguardare i titoli dei post pubblicati, ho notato di essermi dimenticata un racconto per strada. Un racconto scritto per il progetto Land!Terra che ho letto alla serata del Poesia Festival a Piumazzo: "Specchiati oltre".
Ne avevo dato un assaggio proprio QUI e ora mi sembra giusto presentarvelo per intero.
Specchiati oltre
Parlare
con i tassisti mi mette soggezione, per questo se mi rivolgono parola io fingo
di non aver sentito. Rimango per tutto il viaggio con il gomito appoggiato al
pianale del finestrino e il mento contro le nocche, e guardo fuori.
La
radio fischia a ogni sobbalzo, ma riesco comunque a sentire le note di Iris. Il
tassista cambia stazione o forse abbassa solo il volume.
-
No, mi piaceva…
- Ah
sì? - mi chiede, e alza il volume a un livello udibile.
Non
dico niente, e penso che questa è una delle volte più inutili in cui
rispondere.
La
città si muove oltre il vetro, l’asfalto riluce di lampioni e pioggia ed è
bello avere una colonna sonora che ci accompagni. Specialmente nei viaggi
brevi: momenti in cui tutto si addensa nella testa, e al risveglio nemmeno ti
ricordi di che cosa si trattasse.
-
Sta tornando a casa o è in viaggio?
Il
tizio si infiltra nella matassa di pensieri che fuggono dal tassì. Io annuisco
con un sottile borbottio, ma lui non sembra farci troppo caso: lui sa dove sta
andando, che gli importa di dove sto andando io?
L’auto
inciampa in un buco, il mio gomito scivola dalla sua postazione e il mio naso
piomba a un soffio dal vetro.
Il
semaforo verde riverbera sull’auto mentre lo superiamo e il telefono squilla
illuminando l’interno della borsa.
-
Pronto?
È
strano parlare al telefono con qualcuno mentre un altro ti ascolta. La
conversazione perde parte del suo senso.
- Sì,
sono per strada. Sì, è andato tutto bene…
Forse
è normale chiedersi se vieni ascoltato, forse è normale chiedersi se capisce
qualcosa di te.
-
Niente di così strampalato, pensavo molto peggio. Alla fine… eh? No, non
dovrebbe mancare molto.
Incontro
il suo sguardo nello specchietto retrovisore e capisco che è così, non manca
molto. Forse per ringraziarlo, forse per colmare il suo interesse, rispondo -
Sarò a casa a breve. - e metto giù.
Lo
sguardo nello specchietto non c’è più, ora è rivolto alla strada, e io torno a
guardarmi intorno.
-
Che bel tramonto all’orizzonte, non crede?
Dal
canto suo deve essersi instaurato un certo rapporto, ma dal mio mi limito a
pensare che è tutta la vita che corro dietro agli orizzonti. Ma poi ho capito
che non sono altro che gli specchi di quello che ci siamo lasciati alle spalle.
È come stare tra due pareti riflettenti: noi crediamo di muoverci in avanti, di
correre, di perdere tutto quel tempo, e invece siamo ancora qui, ancorati al
passato.
Ci
slanciamo in avanti senza accorgerci di tutti quei fili che ci legano a chi
siamo stati, a quello che abbiamo fatto. Tirando, ci trasciniamo a dietro tutti
i ricordi e i momenti vissuti, ogni più singola ombra di noi stessi.
La
Terra ci pare piatta e abbiamo lo stramaledetto terrore di scivolare giù.
-
Eccoci qua. - Accosta, spegne l’auto e tira il freno a mano appena si accorge
che la macchina slitta indietro. Apre la portiera e fa per scendere, ma io mi
sporgo in avanti e gli appoggio una mano sulla spalla.
-
Aspetti. - lui si gira e mi guarda dubbioso. - Le dispiace andare dritto per
questa strada finché non tramonta il sole? Devo capire se la Terra è davvero
piatta come sembra.
Con
uno sguardo indecifrabile, forse tra il dubbioso e lo sconcertato, risale in
macchina e riattiva il contatore. I numerini rossi salgono e il sole scende, giù,
lungo il mio specchio.
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