sabato 19 maggio 2012

[Frammenti da un Luna-Park] Pane

Classificatosi al 10° posto del concorso letterario "Emozioni in bianco e nero" - 2011, indetto da Edizioni del Poggio.

Pane

Elisa se ne stava in macchina.
La sentiva scuotersi leggermente mentre la teneva in folle.
In fondo alla strada vedeva poco chiaramente il semaforo rosso.
Aveva spiovigginato tutta notte e solo verso le dieci il cielo aveva deciso di smettere; ora lei se ne stava lì ferma ad osservare il suo parabrezza: una lunga goccia era stata trascinata dai tergi cristalli, tracciando così una linea d’orizzonte sbilenca.
Dall’alto ne cadevano tante altre ed Elisa notò che una sola di loro arrivò convinta, attraversandola: tutte le altre si limitarono a scivolarci addosso.
In un qualche modo contorto si sentì quasi scossa, ma una serie di clacson la svegliarono e si costrinse a ripartire.
Indossava una giacca lunga e pesante di colore beige, solo per non accendere il riscaldamento: le faceva bruciare gli occhi ed era sicura che chiunque percorresse la corsia di fianco avrebbe notato quanto le imprimesse una stupida espressione essere puntata da quel tipo di calore.
Scalò di marcia come pochi mesi prima non avrebbe mai osato e poi mise la freccia a destra; rallentando, il tipo dietro di lei decise di superarla evitando per un soffio un incidente con un’alfa.
Fece qualche altro metro e parcheggiò davanti alla panetteria “Chicchi di Grano”.
Entrata dalla porta risuonarono le campanelle appese proprio sopra di essa, e Luca uscì sgarbato.
Era di pessimo umore, la mattina aveva giusto litigato con sua moglie riguardo alle maledette etichette che stanno nascoste nelle maglie. Sua moglie lavorava e penso lavori tuttora, in un negozio Benetton.
In quanto a commessa avrebbe dovuto sapere quanto fossero fastidiosi gli inutili foglietti:

- Cos’è? Un libretto di istruzioni? Hanno paura che non sappia dove infilare la testa? Per l’amor di Dio, Sara tagliali! -


Risalito in macchina sbuffò lanciando il pane sul sedile posteriore.
Finalmente aveva smesso di piovere e anche se il cielo era di un grigio topo, a Luca andava bene. Stava per affrontare un pranzo.
Non importava che tipo di pranzo, era un pranzo, e anche se fosse stata una cena lo avremmo sentito brontolare comunque.
Avrebbe dovuto chiacchierare per forza, perché ai pranzi ci sono sempre un sacco di cose che sei obbligato a fare.
Devi essere felice, non sereno o pacato o contento. Felice.
Devi mangiare con gusto e Luca odiava vedere gli altri mangiare con gusto durante quei pranzi: l’espressione da “ma quanto è buono!” con il cibo in fase di masticazione gli dava sui nervi, ma più di tutto odiava il rumore. Non c’erano chiacchiere che tenessero, perché sentiva masticare tutti.
Sempre, per questo lui era arrivato ad un punto tale da rifiutare qualunque cibo che gli pareva avrebbe avuto un rumore troppo forte.
Perché lui, al contrario degli altri, rispettava i componenti della tavolata!
Mise la freccia a sinistra, attese due o tre macchine, e poi partì.
Oltretutto avrebbe dovuto ospitare la gente a casa sua, per questo il pane, per questo la fretta.
Inchiodò al semaforo rosso, maledicendo il lento davanti e lo strombazzatore dietro. Maledisse i pranzi e le cene e il prurito che gli procurava la camicia sulla spalla destra.
Tornato il verde, tornò anche il freddo con rischio neve ed Elisa se ne uscì scoraggiata dalla panetteria dopo una fila troppo lunga.
Aveva pensato, e solo dopo si accorse di come i suoi ragionamenti fossero collegati da sonore buche.
Era come ricordare un blabla lontano, peccato che fossero suoi.
Risalì in macchina evitando con il piede destro la pozzanghera davanti alla portiera, ma centrandola con il sinistro.
Sbuffò quasi annoiata ed entrò buttando sul sedile posteriore il sacchetto di pane.
Accesa la macchina guardò l’ora: 11.15.
Tardi, era veramente tardi.
Mise la freccia a destra e partì facendo rombare la macchina.
Il cielo, in quella direzione, si stava rasserenando e questo l’aveva sicuramente spinta alla scelta.
In realtà le uniche mansioni di quella mattina erano sistemare casa, prendere il pane e…
All’improvviso si dimenticò il motivo del suo ritardo.
Perché le undici e un quarto erano “tardi”?
Scosse la testa ed accese la musica, decidendo di passare da casa prima di fare qualunque altra mossa.
Il semaforo si fece arancione e lei rallentò, una ragazza le sfrecciò alla sua destra inchiodando sulla linea perché ormai era venuto rosso: Valentina arricciò le labbra, ma poi si mise tranquilla.
Il motorino era tutto un tremito e lei, per non patire troppo freddo alle mani, aveva escogitato un piano quasi infallibile: si era infilata ad una mano entrambi i guanti, mentre l’altra la teneva al riparo nel piumino.
E anche se di tanto in tanto era costretta ad estrarla, alla fine non stava patendo poi tanto freddo.
Il semaforo tornò verde e lei poté ripartire sentendo l’acqua sull’asfalto fare piccole onde sporche.
Alla rotonda dovette tornare indietro e quando finalmente fu sulla strada giusta, svoltò a destra continuando lungo quella minuscola via: il motorino era l’unico rumore e dagli specchietti vedeva l’alone nero del gas che si diramava verso l’alto, le case tenevano le luci nei portici accese e le finestre avevano i vetri chiusi ma le tende accostate.
Spense il motorino e si tolse il casco mettendolo sotto al sellino. Il pane era rotolato verso il basso e una pagnotta era uscita ricoprendosi delle sicure sporcizie: abbandonandola lì andò al civico numero quattro e bussò.
Elisa aprì la porta, appoggiò le chiavi sulla TV proprio vicino all’ingresso, e si gettò sul divano.
Dalla sua aveva la solita scusa: era nata di domenica, era nata propensa al riposo e probabilmente annoiata.
Aveva lasciato il pane in macchina e se ne era accorta perché glie ne era venuta voglia.
Ma certo non si alzò per andarlo a prendere.
Avrebbe tanto voluto sposarsi in quel preciso istante.
Era sicura che nel matrimonio, l’uomo sarebbe andato a prendere il pane, mentre lei sarebbe stata a casa a fare l’intellettuale.
Era laureata in biotecnologie e la sua aspirazione più alta era sposarsi e fare la casalinga.
Intanto, in attesa dei sogni, lavorava in un call-center: giusto per ridursi agli sgoccioli ogni fine mese al momento del pagamento della rata.
E a proposito di acqua, non aveva ricominciato a piovere, questo le dispiaceva: voleva compagnia.
Una compagnia di rumori e silenzi che invece Luca continuava a non apprezzare.
Erano giusto arrivati al primo, cioè la prima parte realmente rumorosa: l’antipasto era quindi da contare come piattaforma zero. Il via.
Tutto questo per il compleanno dei nipoti gemelli, per fortuna solo due.
Sara, di grazia, aveva cucinato delle penne: si sentiva fortunato, visto che non erano spaghetti. Riguardo a questi in effetti c’erano racconti ed esperienze a dir poco allucinanti che, piuttosto di farle affiorate, si preferiva evitare con scrupolo.
Non odiava la sua famiglia, ma c’erano davvero giorni in cui avrebbe davvero potuto farne a meno.
Addirittura coricarsi nello stesso letto con un'altra persona gli procurava un solletico leggero su tutta la pelle, una sensazione troppo simile al ribrezzo che provava nel toccare i piatti sporchi nel lavello.
Il telefono squillò e Luca glie ne fu veramente grato; si alzò da tavola trattenendo al petto la cravatta per non intingerla nelle penne ed andò a rispondere alla chiamata, speranzoso si trattasse di una trattativa da tenere per le lunghe:

- Pronto? 

- Alberto?! Elisa dov’è?

Una voce anziana con una leggera asma bronchiale gli aveva rivolto due domande che però parevano una sola. Avrebbe tanto voluto essere Alberto, e ci pensò su prima di riattaccare sconsolato, ma l’abitudine lo riportò a tavola:
-No signora, ha sbagliato numero. Mi dispiace- era vero, gli dispiaceva e la signora anziana al capo dell’altro telefono si scusò. Erano scuse lunghe che per una volta gli fecero realmente piacere, si era risparmiato il rovescio del vino e se l’avesse trattenuta per altri due secondi si sarebbe perso lo strepitare dei festeggiati: entrambi gelosi del regalo dell’altro.
Messa giù la cornetta, Silvia inforcò nuovamente gli occhiali e percorse abbastanza meticolosamente l’elenco della rubrica.
Trovato il numero della nipote provò a ricomporlo nella maniera corretta, pur credendo in cuor suo di avere il numero sbagliato: il telefono iniziò a petulare come suo solito, finché dall’altra parte una voce femminile non le rispose.

- Pronto?

- Elisa, sono la nonna.

- Oh ciao nonna, come va?

- Bene tesoro, tu?

- Sì bene, che succede?

- No, mi chiedevo solo a che ora pensavi di passarmi a prendere… La messa inizia tra quaranta minuti e non so quanto tu ci metta ad arrivare qui.

L’impegno più importante della mattinata si era fatto vivo nominando un morto, ed improvvisamente si ricordò pure che il pane era per sua nonna.

-Stavo giusto partendo adesso… Vestiti che arrivo.

Elisa in realtà si era messa in pigiama ed aveva appena ricominciato a leggere un libro che aveva interrotto tre mesi prima, la morte di suo zio aveva in effetti interrotto molte cose, tra cui una gravidanza.
La zia aveva avuto problemi per un mese intero, alcuni più gravi di altri, che la portarono ad un aborto spontaneo e poco liberatorio.
La messa era in onore del compleanno di suo zio e, seppur sfalsata di quattro giorni, nessuno si era opposto a quella data.
In conclusione, in una data qualsiasi per il ora defunto e ieri zio, si celebrava una messa con tanto di pranzo.
Alberto, suo fratello minore, era l’unico a non presenziare ed Elisa in un certo qual modo lo aveva invidiato perché impossibilitata a fare lo stesso: ora come ora avrebbe desiderato anche lei partire per un viaggio di lavoro e non tornare fino all’anno nuovo.
A quest’ultimo mancavano la bellezza di quattro mesi, ed Alberto era partito ancor prima della morte dello zio che gli era poi stata taciuta per giorni: fosse stata per lei glie l’avrebbe taciuta fino al ritorno.
Scese nel parcheggio davanti casa e salì in macchina; con lo stesso entusiasmo di un bradipo uscì e procedette verso la casa di sua nonna: sarebbe arrivata in ritardo e avrebbero perso sicuramente l’inizio della messa.
Valentina uscì da quella casa con ancora in mano il pane, prese il suo casco e con rabbia lanciò contro un parabrezza la pagnotta abbandonata in precedenza.
Lasciò perdere i guanti e partì furiosa.
Il freddo si fece sentire dopo solo il primo metro, ma ne era grata perché la manteneva lucida: litigare la rendeva pensierosa e distaccata.
Aumentò il gas e sentì quasi il motorino scapparle da sotto il sedere, un pizzicotto al cuore le fece tirare un respiro di sollievo: cadere era fuori questione.
Elisa passò con l’arancione e si beccò gli strepitii di alcune macchine, il cellulare iniziò a suonare e dal nervoso lo guardò lanciandolo nuovamente sul sedile del passeggero.
Con lo sguardo cercò un parcheggio, ma la strada proseguiva dritta.
Più in là, all’incrocio Valentina frenò brusca, appoggiato il piede a terra attese il verde.
Elisa muoveva di scatto il collo per leggere la rubrica e nel contempo guardare la strada, il telefono fece bip e lei entrò nella cartella dei messaggi: Alberto le chiedeva di fare altre condoglianze e scuse.
Era verde e Valentina ripartì, mentre Elisa scalò di una marcia.
Il telefono tornò a suonare ed Elisa lo cercò con la mano afferrandolo al contrario, Valentina si faceva più vicina, mentre lei si spostò troppo a sinistra scaraventandola giù per quel piccolo fosso.

Il pranzo era iniziato alle 12 spaccate e all’una precisa era terminato con il venerato sollievo di Luca.
Non avrebbe potuto chiedere regalo migliore: nel pomeriggio era stata organizzata la vera festa di compleanno che non potevano rimandare.
Grazie e ancora grazie, continuava a ripetersi nella sua testa cercando di controllare i muscoli facciali.
L’idea che voleva dare era quella del normale parente che saluta la sua famiglia, ma quel sorriso era troppo prorompente.
Preso dal tanto entusiasmo salutò i gemelli sollevandoli per aria, fece fare loro l’aeroplano e li rimise a terra ancora vorticanti.
Ridevano e lui era felice, felice come ad ogni pranzo era giusto mostrarsi.
Sara scuoteva leggermente la testa conoscendo alla perfezione i suoi modi, ma non disse niente…come sempre.
Salutò la suocera e Luca si sbracciò in un ultimo saluto, poi un’ambulanza passò di tutta fretta lungo la strada principale: vide sua madre farsi il segno della croce, mentre lui si limitò a sentirsi pure fortunato.



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