venerdì 25 maggio 2012

[Stralci da una cruna d'ago] Artigli HB

Secondo racconto della raccolta "Stralci da una cruna d'ago".

Artigli HB


C’era stato quel ricordo che l’aveva ispirata a tal punto da farla scrivere per tutta la mattina, mentre ne parlava a se stessa poteva quasi rivederselo pari pari e vero vero davanti agli occhi.
E poi lo “stream of consciousness” di James Joyce la catturò; eliminare alcune parti della punteggiatura le risultò prima difficile e poi ingiusto: nella testa era in grado di urlare.
Prese la biro in mano e resistette pochissimo, la mano grondava di malessere per non parlare del polso. Il foglio era arrivato a sembrarle scomodo, ma nonostante tutti quei fastidi sentiva la necessità di andare avanti.
Cambiò afferrando una matita HB, la punta era un piccolo artiglio che sferruzzava sulla carta bianca a righe a quadretti; era il coltello che tagliava la carta offendendola, sottomettendola.
Torturandola, eppure era davvero troppo bello per riuscire a smettere.
E sforzava quei muscoli, nella speranza che potessero andare alla velocità della mente.


Abbandonò lo strumento con un gesto stanco, lanciandola, e lei rotolò fuori dalla scrivania e a riguardare quei fogli era un casino: disordine, senza senso o forse sì. Descrivere le immagine, perché la mente va a flash, era complicato. Saltava da una parte all’altra, e permettere ai suoi pensieri di liberarsi a questo modo era forse l’esperienza più tranquillizzante di quell’ultimo periodo, periodo intenso davvero.
E quando una ciglia sottile le cadde, sul naso? No, impossibile. Le cadde la ciglia e lei la raccolse, la soffoco tra indice e pollice ed espresse il desiderio…poi soffiò.
Non controllò dove sarebbe andata a finire e forse avrebbe dovuto, perché le ciglia finiscono tutte lì: vengono risucchiate mentre volteggiano e puf compaiono dall’Altra parte.
Una parte grande grande grande, tutta bianca fatta da una lunga linea serpentina nera che si sposta qua e là disegnando pareti, sedie e girellando su se stessa per fare gli angoli.
Lui è sempre lì oltretutto, è il capo e sta alla Reception a smistare le ciglia.
Ha le pinzette piccine e seleziona solo i desideri più rari e quello di Valeria era raro forte.
La raccolse e se la avvicinò all’orecchio come una conchiglia che sussurra del mare:
Valeria desiderava poter scrivere sempre e tutto.
Lui si alzò dalla sedia tenendo ben in alto il reperto più straordinario della giornata, camminò lungo i corridoi così bianchi, sterilizzati, fino ad arrivare davanti alla fantomatica porta fatta di piume.
Soffiò e questa si aprì sventolando come una tenda.
Un altro corridoio si stagliava davanti ai suoi passi, ma questa volta ai lati vi erano tante porte, celle in realtà.

- Per una volta una storia interessante.

- Lo è soltanto perché è vicina alla realtà…conosco chi c’è stato.

- Oltre la porta anche?

- Certo, ma la cosa più incredibile sta per arrivare…

- Cioè?

- Il primo della fila era Alan, ragazzo piuttosto superbo e ancora impossibile da controllare…eppure era lì. Così leggo. Non è straordinario?

- Già, ricordo la sua storia come fosse ieri.

- Non lo è?

- No affatto! Credo fosse una delle mie prime…

Era arrivato con qualche giorno di ritardo perché la ciglia che aveva soffiato non si ritrovava più, ma per fortuna Lui era sempre stato un uomo piuttosto previdente: aveva creato una copia perfetta della ciglia e con quella aveva incastrato Alan: un tipo moro dagli occhi sempre chiusi a due fessure, strette quanto le labbra sottili. Stava seduto su una sedia a rotelle con la quale ogni tanto si dava alla pazza gioia girando in tondo.

- Desiderio furente il suo…

- Perché? Il ragazzo aveva desiderato di controllare il tempo: per quanto straordinario che fosse poterlo fare risultava uno dei desideri più comuni, per questo Lui non lo accontentò.

- Già, ma forse tu non lo ricordi, ma era così pieno di rabbia… Vabbé ti lascio proseguire, non voglio che perdi il filo.

Il desiderio, come comunque Alan aveva già ammesso ancor prima di esprimerlo, non si sarebbe avverato e quindi?
Fantasticare non era impedito e lui lo fece creando Tom.
Un uomo sulla sessantina che da quel che si poteva capire dagli scritti del superbo era laureato in fisica; sprovvisto di abbastanza soldi si era rivolto ad un lontano cugino che nel corso degli anni aveva racimolato abbastanza fortune da potergli concedere ciò che desiderava: trovare qualcosa di innovativo.
Tom era riuscito davvero a farlo, ma Alan era piombato nel racconto sotto falso nome.

- Dio, lo ricordo davvero bene…

- Dio, come esclamazione o Dio è la risposta?

- Entrambe, ma va avanti… Qui ho le parole alla gola da quanto è intenso.

Lui era Dio perché poteva controllare il tempo torturando Tom: era arrivato a quel qualcosa di innovativo, ma la sua consueta indecisione lo aveva portato a farsi amare ed odiare da Alan.
Il mondo avrebbe dovuto sapere ciò a cui stava per arrivare?
Nemmeno tu ci arriverai vecchiaccio, si era divertito a sentenziare Alan.
La scena era stata descritta con un’entrata piuttosto banale in questa stanza provvista di due lavagne che ormai Tom aveva riempito a tal punto da dover usare pure i muri, era entrato nel momento esatto in cui Tom cancellò le ultime due righe di calcolo perché sbagliate e lì dovette rimanere fermo a vita.
Ogni giorno per Tom sarebbe stato lo stesso, ogni giorno per Tom avrebbe significato una ciglia dallo scoprire il suo tanto lavorare.

- Era stato quindi così portato dall’Altra parte che, oltre ad occuparsi di desideri si occupava anche con minuzia dei personaggi torturati, ritrattati, esaltati, dimenticati e così via…

- Smettila! Questa è la mia storia, perché fai così?

- Tranquilla, non rischi niente, mica la interrompi!

- No ma se non sono io a narrarla sai che mancheranno dei pezzi. Non vorrai trasmetterla diversa?

- Non succederà, questa è stata la mia storia ancora prima che fosse tua.

- Questo non importa, ora è mia.

- Sei terribilmente possessiva, possibile che tu debba fare la precisina ogni istante della tua esistenza?

- Sì, accettalo. Comunque… Alan, era poi finito in prigione perché aveva davvero creduto di poter realizzare i suoi desideri da solo. Davanti alla cella ancora oggi si può leggere “Dio”, perché così volle il sarcasmo di Lui. Mmm… Qui parla anche di una certa Erica. 

-Sì sì ricordo,all’età di sette anni si era permessa di creare Isabelle, un immaginario davvero molto vendicativo.

- Già, sarà giusto nominarla?

- Mmm non saprei… Non diventeremo troppo dispersive?

- Lo credo anche io, ma se non dovessero sparire le scritte?

- Non ne sono mai venuta al corrente di questa faccenda… Sarà meglio parlarne…

- No no si sbiadiscono, procedo.

Era possibile andare oltre e visitare la ragazza ricoperta dai Post-it, che aveva desiderato di potersi ricordare tutto, destinata a non riuscire a vedere nemmeno che cosa diavolo vi aveva scritto sopra.
Era possibile proseguire talmente tanto oltre da poter arrivare nella zona dell’Altra parte meno frequentata: lì nessun uomo sarebbe potuto entrare mai più, ai pochi che era stata data questa opportunità era andato in pappa il cervello e per di più nessuno di loro era stato abbastanza leggiadro da evitare di mandare in aghi gli specchi.
Lui si fermò davanti alla futura cella di Valeria, prese il passepartout e iniziò ad esaminare un paio di chiavi alla ricerca di quella più adatta a quel desiderio.
Sospirò prendendo quella a forma di cacciavite a stella: qualche tempo prima avrebbe dato più fiducia ai desideri, ma con il passare del tempo si era accorto che i desideri meno comuni avrebbero comunque portato allo sfacelo, perché nessun essere umano era mai stato in gradi di accontentarsi.

- Ah vero! Ti ricordi di quella che aveva voluto evitare di scegliere? La duplicarono permettendole così di vedere come sarebbero andate le cose in entrambi i casi.

- Sì sì, potevano vedere attraverso i propri occhi ciò che faceva l’altra, cosa le succedeva: era come avere due vite in una.

- Arrivarono ad odiarsi senza mai capire chi fosse il doppio e chi no.

- Ma lo trovi divertente?

- Cosa?

- Questo! Dal tono sembra proprio…

- Bé è ironico credo…come’è che finì?

- Ripeto, questa storia non dovrebbe essere di mia competenza, almeno non ora, ma comunque so che una delle due riuscì ad uccidere l’altra facendola bruciare: il suo corpo si divise in una miriade di strazianti urli, mentre l’altra ancora oggi deve vivere con il dubbio di ciò che sarebbe potuto accadere se non avesse scelto di ucciderla, oppure che sarebbe successo se fosse morta lei.

- Lo capirà?
- Ah ah ah… Simpatica, posso andare avanti adesso?

- Sì, sono tutta orecchi.

Lui scosse il capo ed entrò. La stanza era vuota e al centro regnava solitaria una sedia di legno.
Vi posò delicatamente la ciglia e poi batté le mani due volte: Valeria comparve seduta sulla sedia.
I capelli le cadevano sulla carnagione chiara, le lentiggini si facevano largo ostentando timidezza.
Desiderava scrivere? Allora lo avrebbe fatto per tutta la vita, come unica cosa. Sempre e comunque.
“Ciao Valeria”
“Ciao virgola chi se tu punto interrogativo” aveva il tono di voce monotona e si spaventò.
Si mise le mani sulla bocca senza riuscire a capire.
“Prima o poi ti ci abituerai” disse Lui provando a sorridere “Hai l’eternità davanti”

- Incredibile, qui c’è qualcuno più simpatico di te.

- Visto? Chissà magari un giorno sarà la mia identità!

- Ti ci vedo in effetti…

Uscì senza dirle altro, augurarle una buona permanenza sarebbe stato davvero crudele da parte sua.
Gli occhi di Valeria vollero piangere e avrebbe tanto voluto pensare, ma non le fu concesso.
Tutto ciò che erano parole sarebbe dovuto uscire, scritto tra i denti che per punizione avrebbe forse voluto temperarsi per bene.
Sentiva la lingua scivolare senza suoni diversi.
Guardò davanti a se: il tesserino della cella di fronte recitava “perfezionista” e Valeria si costrinse a girare lo sguardo perché, le dita di quell’uomo, più se le tagliava più orribilmente crescevano imperfette.
“Basta punto esclamativo” si rivolse al tizio e in quel momento fu sicura di non riuscire più ad urlare per davvero.

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