Secondo racconto della raccolta "Stralci da una cruna d'ago".
Artigli HB
C’era stato quel ricordo che
l’aveva ispirata a tal punto da farla scrivere per tutta la mattina, mentre ne
parlava a se stessa poteva quasi rivederselo pari pari e vero vero davanti agli
occhi.
E poi lo “stream of
consciousness” di James Joyce la catturò; eliminare alcune parti della
punteggiatura le risultò prima difficile e poi ingiusto: nella testa era in
grado di urlare.
Prese la biro in mano e
resistette pochissimo, la mano grondava di malessere per non parlare del polso.
Il foglio era arrivato a sembrarle scomodo, ma nonostante tutti quei fastidi
sentiva la necessità di andare avanti.
Cambiò afferrando una matita HB,
la punta era un piccolo artiglio che sferruzzava sulla carta bianca a righe a
quadretti; era il coltello che tagliava la carta offendendola, sottomettendola.
Torturandola, eppure era davvero
troppo bello per riuscire a smettere.
E sforzava quei muscoli, nella
speranza che potessero andare alla velocità della mente.
Abbandonò lo strumento con un
gesto stanco, lanciandola, e lei rotolò fuori dalla scrivania e a riguardare
quei fogli era un casino: disordine, senza senso o forse sì. Descrivere le
immagine, perché la mente va a flash, era complicato. Saltava da una parte
all’altra, e permettere ai suoi pensieri di liberarsi a questo modo era forse
l’esperienza più tranquillizzante di quell’ultimo periodo, periodo intenso
davvero.
E quando una ciglia sottile le
cadde, sul naso? No, impossibile. Le cadde la ciglia e lei la raccolse, la
soffoco tra indice e pollice ed espresse il desiderio…poi soffiò.
Non controllò dove sarebbe andata
a finire e forse avrebbe dovuto, perché le ciglia finiscono tutte lì: vengono
risucchiate mentre volteggiano e puf compaiono dall’Altra parte.
Una parte grande grande grande,
tutta bianca fatta da una lunga linea serpentina nera che si sposta qua e là
disegnando pareti, sedie e girellando su se stessa per fare gli angoli.
Lui è sempre lì oltretutto, è il
capo e sta alla Reception a smistare le ciglia.
Ha le pinzette piccine e
seleziona solo i desideri più rari e quello di Valeria era raro forte.
La raccolse e se la avvicinò
all’orecchio come una conchiglia che sussurra del mare:
Valeria desiderava poter scrivere
sempre e tutto.
Lui si alzò dalla sedia tenendo
ben in alto il reperto più straordinario della giornata, camminò lungo i
corridoi così bianchi, sterilizzati, fino ad arrivare davanti alla fantomatica
porta fatta di piume.
Soffiò e questa si aprì
sventolando come una tenda.
Un altro corridoio si stagliava
davanti ai suoi passi, ma questa volta ai lati vi erano tante porte, celle in
realtà.
- Per una volta una storia
interessante.
- Lo è soltanto perché è vicina
alla realtà…conosco chi c’è stato.
- Oltre la porta anche?
- Certo, ma la cosa più
incredibile sta per arrivare…
- Cioè?
- Il primo della fila era Alan,
ragazzo piuttosto superbo e ancora impossibile da controllare…eppure era lì.
Così leggo. Non è straordinario?
- Già, ricordo la sua storia come
fosse ieri.
- Non lo è?
- No affatto! Credo fosse una
delle mie prime…
Era arrivato con qualche giorno
di ritardo perché la ciglia che aveva soffiato non si ritrovava più, ma per
fortuna Lui era sempre stato un uomo piuttosto previdente: aveva creato una
copia perfetta della ciglia e con quella aveva incastrato Alan: un tipo moro
dagli occhi sempre chiusi a due fessure, strette quanto le labbra sottili.
Stava seduto su una sedia a rotelle con la quale ogni tanto si dava alla pazza
gioia girando in tondo.
- Desiderio furente il suo…
- Perché? Il ragazzo aveva
desiderato di controllare il tempo: per quanto straordinario che fosse poterlo
fare risultava uno dei desideri più comuni, per questo Lui non lo accontentò.
- Già, ma forse tu non lo ricordi,
ma era così pieno di rabbia… Vabbé ti lascio proseguire, non voglio che perdi il
filo.
Il desiderio, come comunque Alan
aveva già ammesso ancor prima di esprimerlo, non si sarebbe avverato e quindi?
Fantasticare non era impedito e
lui lo fece creando Tom.
Un uomo sulla sessantina che da
quel che si poteva capire dagli scritti del superbo era laureato in fisica;
sprovvisto di abbastanza soldi si era rivolto ad un lontano cugino che nel
corso degli anni aveva racimolato abbastanza fortune da potergli concedere ciò
che desiderava: trovare qualcosa di innovativo.
Tom era riuscito davvero a farlo,
ma Alan era piombato nel racconto sotto falso nome.
- Dio, lo ricordo davvero bene…
- Dio, come esclamazione o Dio è
la risposta?
- Entrambe, ma va avanti… Qui ho le
parole alla gola da quanto è intenso.
Lui era Dio perché poteva
controllare il tempo torturando Tom: era arrivato a quel qualcosa di
innovativo, ma la sua consueta indecisione lo aveva portato a farsi amare ed
odiare da Alan.
Il mondo avrebbe dovuto sapere
ciò a cui stava per arrivare?
Nemmeno tu ci arriverai
vecchiaccio, si era divertito a sentenziare Alan.
La scena era stata descritta con
un’entrata piuttosto banale in questa stanza provvista di due lavagne che ormai
Tom aveva riempito a tal punto da dover usare pure i muri, era entrato nel
momento esatto in cui Tom cancellò le ultime due righe di calcolo perché
sbagliate e lì dovette rimanere fermo a vita.
Ogni giorno per Tom sarebbe stato
lo stesso, ogni giorno per Tom avrebbe significato una ciglia dallo scoprire il
suo tanto lavorare.
- Era stato quindi così portato
dall’Altra parte che, oltre ad occuparsi di desideri si occupava anche con
minuzia dei personaggi torturati, ritrattati, esaltati, dimenticati e così
via…
- Smettila! Questa è la mia
storia, perché fai così?
- Tranquilla, non rischi niente,
mica la interrompi!
- No ma se non sono io a narrarla
sai che mancheranno dei pezzi. Non vorrai trasmetterla diversa?
- Non succederà, questa è stata la
mia storia ancora prima che fosse tua.
- Questo non importa, ora è mia.
- Sei terribilmente possessiva,
possibile che tu debba fare la precisina ogni istante della tua esistenza?
- Sì, accettalo. Comunque… Alan,
era poi finito in prigione perché aveva davvero creduto di poter realizzare i
suoi desideri da solo. Davanti alla cella ancora oggi si può leggere “Dio”,
perché così volle il sarcasmo di Lui. Mmm… Qui parla anche di una certa Erica.
-Sì sì ricordo,all’età di sette
anni si era permessa di creare Isabelle, un immaginario davvero molto
vendicativo.
- Già, sarà giusto nominarla?
- Mmm non saprei… Non diventeremo
troppo dispersive?
- Lo credo anche io, ma se non
dovessero sparire le scritte?
- Non ne sono mai venuta al
corrente di questa faccenda… Sarà meglio parlarne…
- No no si sbiadiscono, procedo.
Era possibile andare oltre e
visitare la ragazza ricoperta dai Post-it, che aveva desiderato di potersi
ricordare tutto, destinata a non riuscire a vedere nemmeno che cosa diavolo vi
aveva scritto sopra.
Era possibile proseguire talmente
tanto oltre da poter arrivare nella zona dell’Altra parte meno frequentata: lì
nessun uomo sarebbe potuto entrare mai più, ai pochi che era stata data questa
opportunità era andato in pappa il cervello e per di più nessuno di loro era
stato abbastanza leggiadro da evitare di mandare in aghi gli specchi.
Lui si fermò davanti alla futura
cella di Valeria, prese il passepartout e iniziò ad esaminare un paio di chiavi
alla ricerca di quella più adatta a quel desiderio.
Sospirò prendendo quella a forma
di cacciavite a stella: qualche tempo prima avrebbe dato più fiducia ai
desideri, ma con il passare del tempo si era accorto che i desideri meno comuni
avrebbero comunque portato allo sfacelo, perché nessun essere umano era mai
stato in gradi di accontentarsi.
- Ah vero! Ti ricordi di quella
che aveva voluto evitare di scegliere? La duplicarono permettendole così di
vedere come sarebbero andate le cose in entrambi i casi.
- Sì sì, potevano vedere
attraverso i propri occhi ciò che faceva l’altra, cosa le succedeva: era come
avere due vite in una.
- Arrivarono ad odiarsi senza mai
capire chi fosse il doppio e chi no.
- Ma lo trovi divertente?
- Cosa?
- Questo! Dal tono sembra
proprio…
- Bé è ironico credo…come’è che
finì?
- Ripeto, questa storia non
dovrebbe essere di mia competenza, almeno non ora, ma comunque so che una delle
due riuscì ad uccidere l’altra facendola bruciare: il suo corpo si divise in
una miriade di strazianti urli, mentre l’altra ancora oggi deve vivere con il
dubbio di ciò che sarebbe potuto accadere se non avesse scelto di ucciderla,
oppure che sarebbe successo se fosse morta lei.
- Lo capirà?
- Ah ah ah… Simpatica, posso andare
avanti adesso?
- Sì, sono tutta orecchi.
Lui scosse il capo ed entrò. La
stanza era vuota e al centro regnava solitaria una sedia di legno.
Vi posò delicatamente la ciglia e
poi batté le mani due volte: Valeria comparve seduta sulla sedia.
I capelli le cadevano sulla
carnagione chiara, le lentiggini si facevano largo ostentando timidezza.
Desiderava scrivere? Allora lo
avrebbe fatto per tutta la vita, come unica cosa. Sempre e comunque.
“Ciao Valeria”
“Ciao virgola chi se tu punto
interrogativo” aveva il tono di voce monotona e si spaventò.
Si mise le mani sulla bocca senza
riuscire a capire.
“Prima o poi ti ci abituerai”
disse Lui provando a sorridere “Hai l’eternità davanti”
- Incredibile, qui c’è qualcuno
più simpatico di te.
- Visto? Chissà magari un giorno
sarà la mia identità!
- Ti ci vedo in effetti…
Uscì senza dirle altro, augurarle
una buona permanenza sarebbe stato davvero crudele da parte sua.
Gli occhi di Valeria vollero
piangere e avrebbe tanto voluto pensare, ma non le fu concesso.
Tutto ciò che erano parole
sarebbe dovuto uscire, scritto tra i denti che per punizione avrebbe forse
voluto temperarsi per bene.
Sentiva la lingua scivolare senza
suoni diversi.
Guardò davanti a se: il tesserino
della cella di fronte recitava “perfezionista” e Valeria si costrinse a girare
lo sguardo perché, le dita di quell’uomo, più se le tagliava più orribilmente
crescevano imperfette.
“Basta punto esclamativo” si
rivolse al tizio e in quel momento fu sicura di non riuscire più ad urlare per
davvero.
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